Il divieto di rilasciare nuove
autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (Ncc)
sino alla piena operatività del registro informatico nazionale
delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione Ncc
ha consentito, per oltre cinque anni, “all’autorità
amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi
operatori”, compromettendo gravemente “la possibilità di
incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici
non di linea”. È quanto si legge nella sentenza n.137,
depositata oggi, con cui la Corte costituzionale, accogliendo le
questioni che aveva sollevato davanti a sé, ha dichiarato
illegittimo l’articolo 10-bis, comma 6, del decreto-legge n. 135
del 2018.
In via preliminare, la sentenza ha chiarito che la recente
adozione del decreto n. 203 del 2024 del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, che stabilisce la “piena
operatività” dell’anzidetto registro informatico a decorrere da
centottanta giorni dalla sua pubblicazione, “non ha alcuna
incidenza sul presente giudizio, dal momento che le censure sono
state prospettate sulla disposizione legislativa” in ragione
della sua “struttura”, a prescindere dalle evenienze “di fatto”
e dalle “circostanze contingenti” attinenti alla sua concreta
applicazione.
E ciò in quanto – prosegue la nota della Consulta – è proprio la
configurazione della disposizione censurata che ha consentito
all’autorità amministrativa di bloccare l’ingresso dei nuovi
operatori nel mercato del Ncc semplicemente rinviando, “con il
succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro
successiva sospensione), la piena operatività del registro
informatico”, come del resto ha dimostrato la concreta vicenda
storica.
È quindi rimasta del tutto inascoltata – ha osservato la
sentenza – la preoccupazione dell’Autorità garante delle
concorrenza e del mercato (Agcm) volta a evidenziare che
“l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea
risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e
ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane,
di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e
dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio
taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della
popolazione”.
La norma censurata ha pertanto causato, in modo sproporzionato,
“un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e
dell’intera collettività”.
I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a
dare effettività alla libertà di circolazione, “che è la
condizione per l’esercizio di altri diritti, per cui la forte
carenza dell’offerta” – che colloca l’Italia fra i Paesi europei
meno attrezzati al riguardo – generata dal potere conformativo
pubblico ha indebitamente compromesso “non solo il benessere del
consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene
all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali,
oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese”.
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